Come nasce la Cittadella dei Ragazzi
Nei suoi 22 anni di attività la cooperativa sociale Piccolo Principe ha sviluppato numerosi progetti culturali, sociali, clinici e di ricerca, sempre con uno sguardo attento alle esigenze e ai bisogni dei minori che, nel tempo, si sono evoluti.
Abbiamo incontrato la dottoressa Patrizia Corbo, cofondatrice e presidente del Piccolo Principe, per parlare del progetto Cittadella dei Ragazzi.
Come nasce la Cittadella dei Ragazzi?
“Nasce dall’esperienza positiva del progetto La casa sull’albero, un servizio rivolto ai giovani dai 14 ai 21 anni definiti gravi, che non trovano collocazione nel diurno perché troppo difficili da trattare con un rientro a casa. Noi ci abbiamo provato, con un servizio al momento unico, che copre in maniera terapeutica tutta la quotidianità del giovane e della famiglia e crea rete tra i servizi di neuropsichiatria infantile e l’autorità giudiziaria nonché l’Ente affidatario, se ne è coinvolto. L’accesso al servizio spesso è diretto, i ragazzi arrivano tramite la famiglia che si rivolge a noi. La sera i nostri ragazzi tornano sempre a casa così da avere continui feedback rispetto ai comportamenti disfunzionali del sistema. Lo staff è clinico, pedagogico e sociale, mentre la gestione integrata (case management) è sempre del coordinatore psicoterapeuta della nostra struttura.”
Negli anni avete avuto ricevuto molte richieste?
“In questi cinque anni il servizio è diventato un punto di riferimento importante sul territorio del varesotto e, viste le crescenti richieste di aiuto, abbiamo pensato di raggiungere anche il territorio di Milano con un servizio più ampio e con maggiore offerta. È nato così il felice incontro con la Fondazione Minoprio, che aveva ricevuto in donazione una grande villa tra San Vittore Olona e Legnano, e ha dato l’opportunità al Piccolo Principe di aprire la Cittadella grazie ad un comodato d’uso ventennale.”
A chi si rivolge il progetto?
“Ai giovani in condizione di disagio psico-sociale, in particolare alla popolazione definita in drop-out, ossia ragazzi espulsi o usciti dal mondo della scuola con difficoltà emotive, cognitive, psichiche. Sono ragazzi fragili, difficili, che necessitano di un supporto terapeutico adeguato.”
Cosa lo rende unico?
“La Cittadella dei Ragazzi è un progetto innovativo in quanto offre un servizio socio-sanitario integrato in risposta al disagio giovanile. Prevenzione, diagnosi precoce, cura e riabilitazione stanno infatti imponendo modelli socio-sanitari ed assistenziali innovativi che rispondano con efficacia ed efficienza ai bisogni dei giovani in stato fragilità, che necessitano di presidi mirati ed appropriati. Inoltre, è un progetto sperimentale in quanto coinvolgerà i centri di ricerca delle università.”
Com’è strutturato?
“È suddiviso in due fasi principali, la prima prevede la ristrutturazione e l’adeguamento del piano terra di Casa Lazzati, lo splendido palazzo storico messo a disposizione della Fondazione Minoprio e la realizzazione dei laboratori. La seconda verterà sulla realizzazione della cittadella, che sarà un centro polifunzionale strutturato in tre principali aree sinergiche ed integrate tra loro: area clinica-terapeutica, scuola parentale e laboratori.
Ampio spazio verrà dedicato alla formazione e ai laboratori, i quali avranno finalità riabilitative e sociali, con forte valenza terapeutica. Questi spazi formativi saranno di fondamentale importanza soprattutto per chi necessita di un inserimento protetto nel mondo del lavoro. Oltre alla presenza dei laboratori sarà allestito un ufficio di orientamento al lavoro.”
La bellezza sarà parte integrante del percorso terapeutico, quanto è importante?
“Ci siamo interessati agli aspetti neurocognitivi pensando anche al concetto di bello, alla neuroestetica, così da immaginare gli ambienti di vita come elementi terapeutici. Casa Lazzati esprime una bellezza e un profondo stato di benessere che non potranno non impattare in modo terapeutico sui nostri ragazzi, la cura degli spazi esprimerà il nostro desiderio di prenderci cura della persona, del rispetto verso l’altro e del bisogno di rielaborare aspetti di degrado affettivo, emotivo e ambientale. Se le esperienze di degrado, di abbandono e di dolore modificano il cervello in termini depauperativi; il bello, il buono e l’armonia delle forme, l’efficacia degli interventi educativi e l’accoglienza della vita in tutte le sue forme, potranno generare benessere e speranza.”